L’AQUILA
- Conosco Goffredo
Palmerini
ormai da qualche anno, da quando nel 2001 accompagnò il Coro
della Portella
in una tournée in Canada.
Uomo temperante, signorile ed elegante come la città che ama e
difende, le cui qualità e valenze diffonde e simultaneamente
riscopre all'estero. Sicuro e deciso, rappresenta quell'indole
abruzzese di gentilezza d'animo, fede nel prossimo, fierezza di
pensiero e forza nel lavoro, che poi rivela e valorizza nei tanti
meravigliosi ed appassionati scritti su personaggi, eventi, notizie,
comunità ed associazioni, raccolti nel suo ultimo libro L'Aquila
nel Mondo.
La
stessa versatilità
ed apertura verso le opinioni altrui che formano la sua indole, lo
accomunano ai personaggi che scopre sparsi nel mondo, anche loro come
lui, avventurosi di spirito ma regolati da un barometro decisamente
abruzzese. E quindi moralmente sani e senza paure, operosi e
ingegnosi, quelle stesse qualità che distinguono tutti gli
abruzzesi, confermate nelle tracce e nelle impronte che lasciano gli
emigranti abruzzesi nel mondo.
Un
popolo asciutto, solidale, forgiato
dai tanti frequenti terremoti che nei secoli hanno segnato
terribilmente la nostra gente ed hanno lasciato un’indelebile
cicatrice sulla sua fisionomia rendendolo coraggioso, scaltro,
preparato alle insidie e un pizzico fatalista. Tutte qualità - vi
posso assicurare - che ben servono all'emigrante e che peraltro,
nelle condizioni più difficili, lo aiutano alla sopravvivenza.
Ancor
oggi, qui all’Aquila,
come nelle comunità abruzzesi altrove, dopo settimane e mesi che
sono diventati anni, questo carattere temperante ben serve a
mantenere quella compostezza e dignità che tanto colpì i
commentatori della sciagura del 6 aprile. Non c'e' da stupirsi,
quindi, se l'abruzzese nel mondo abbia fatto tanta strada nei campi
più disparati. Non poteva essere altrimenti.
Il
libro di Goffredo
Palmerini
copre un arco di tempo che accavalla il prima e dopo terremoto.
Accorcia lo spazio e il tempo tra le comunità abruzzesi sparse nel
mondo, rendendole straordinariamente vicine nella loro sofferenza. In
un momento in cui l'eterogeneità del campanile scompariva e tutti
gli emigranti italiani si sentivano tutti abruzzesi, noi abruzzesi
ricomponevamo il nostro essere dimezzato per diventare tutti
aquilani.
Palmerini
dà voce a questa solidarietà insigne, dà voce a chi non l'aveva
prima, a un settore vitale disgraziato in primis perché si trova
lontano da casa, poi perché la casa che si è costruita con
interminabili lotte, con sacrifici, con lavoro e pianto, non è, in
ultima analisi, veramente casa sua, e infine perché, nonostante le
sembianze del successo, l'emigrante vive costantemente il trauma
odierno d’una nostalgia irrefrenabile per ciò che forse non ha mai
conosciuto e che probabilmente non esiste più.
Leggo
Goffredo
Palmerini
come una Bibbia di questi itineranti, un promemoria di esodo e
diaspora che rivela agli italiani in Italia una realtà migratoria
per troppo lungo tempo insaputa e che si trova sparsa sui cinque
continenti. Si parla spesso, oggi, delle nuove generazioni,
sopratutto quella terza generazione di giovani che, a differenza
della seconda generazione spesso restia ad accettare usanze e costumi
dei genitori, cerca le proprie radici in un gioco di specchi al
rovescio, cercando di annusarne le essenze.
Io,
perenne giocatore in trasferta, sono diffidente e,
nonostante le mie moderate speranze, devo confessare che non ci
credo, cioè non riesco a constatare un interesse crescente, la
valorizzazione della cifra italiana, nei giovani delle nostre
comunità all’estero. E ciò nonostante i miei anni passati in
mezzo a tanti giovani, sia negli Stati
Uniti
che in Canada,
in congressi organizzati anche da me proprio per loro. Tutti pronti e
decisi certamente a vivere la bella vita italiana, ma poco inclini ad
escutere e approfondire le dure verità dell'emigrazione, le
sofferenze dei propri avi, il casolare d’eredità spesso
abbandonato e con il portone fracido.
Nascono
così
organizzazioni ed enti ispirati politicamente, mirati a rilanciare -
badate il termine “rilanciare” cioè tornare al passato per
riabilitare - quello spettro dell'associazionismo, fenomeno ormai
superato. Oppure si cerca di capire i problemi degli emigranti, a
prescindere dei loro pregi, tentando così di stilare programmi di
iniziative spesso a scapito dei beneficiari. Si è voluto infine dar
origine ad un ruolo politico per gli emigranti, in seno alla politica
nazionale italiana, con tutti gli irrilevanti e improvvidi retroscena
partitocratici che danneggiano gravemente l'ingente patrimonio delle
generose comunità degli emigranti, creando divisioni e rancori.
Certi enti di rappresentanza
spesso
non sono altro che il sipario per persone con ambizioni politiche, i
cui interessi s’impaludano in riunioni, negli ultimi vent’anni
sempre sullo stesso argomento.
Io,
per esempio
- forse un inadeguato ma provocatorio esempio - da un giorno
all'altro, di punto in bianco, sono passato da figlio di emigranti
nato all'estero ad essere un italiano nel mondo per pura motivazione
politica di Roma
e a scapito di qualsiasi desiderio - mio o d’altri come me - avessi
sognato. Tutto ciò con l'unico scopo di creare ambasciatori per
l’imprenditoria italiana, per il made in Italy.
Ma
io non sono un italiano,
nonostante tutto l'amore e la passione integrale che serbo per
l'Italia. Né sono un americano, anche se ho passato tutta la mia
vita nelle Americhe. Sono, invece, un Italo-Americano,
con tutta una mia fisionomia socio-culturale che non si può
sopprimere sotto un manto di ufficiosità politica, non voluta né
richiesta.
Dico,
quindi, che non ci credo a questi - chiamiamoli così - fuochi fatui
dell'operosità ufficiale della volontà istituzionale, perché ho
invece fiducia nella bravura e nello spirito di sacrificio
dell'emigrante, nella sua capacità di confrontarsi e di conquistarsi
il proprio territorio socio-culturale, politico ed economico. Credo,
da buon Italo-Americano, piuttosto nel fattore indiscutibile
dell'individuo, nel potere del singolo gesto, piccolo o grande, che
puntualmente trova risonanza storica nella quotidianità
dell'emigrante.
Potremmo,
in tal senso, dire che i personaggi che descrive Palmerini,
le prolifiche situazioni vitali di preziosi tirocini di vita, le
generosità economiche che si manifestano nelle nostre comunità,
sono quegli sprazzi d’eccellenza e le gradite scoperte che
contrassegnano le comunità abruzzesi in tutto il mondo e che
rispecchiano il fenomeno migratorio nei suoi molteplici campi.
Il
ruolo di Goffredo
Palmerini,
secondo me, in questo marasma confuso e intricato di relazioni, tutto
all'insegna di quella dicotomia tra patria d’origine e patria
d’elezione, è rilevante: è un ruolo chiave. Goffredo rappresenta
una pietra miliare per lo sviluppo di un nuovo tipo di rapporto che
comprende non solo il giornalismo come reportage, ma con i suoi
scritti egli installa un utilizzo dell’informatica che abbraccia e
mette in rete imprenditori e operai, studenti e professori,
commercianti e casalinghe, figli piccoli e grandi, appaltatori e
pensionati, in un nuovo mondo virtuale ricco di relazioni vissute
forsanche più intensamente, perché accomunati attraverso
l'immediatezza del messaggio e del sentimento. Vedere e sentire i
nostri co-emigranti in tempo reale via email,
Facebook,
Skype
e iPad
e sapere che stiamo tutti bene, che abbiamo saputo farci strada
nonostante il fardello ereditato, vuol dire avere una nuova forza
integrale che ci spinge a cercare nuovi contatti e possibili
orizzonti da varcare.
Come
scrisse Petrarca,
parlando degli antipodi riferendosi a S. Agostino – è una
citazione perifrastica, perché ricordata senza il testo
consultabile, mentre sono in vacanza - Petrarca, parlando degli
antipodi, si domandava "chissà quali storie o genti ci
attendono laggiù". La risposta, a chi se l'ha posta come me,
ora ce l'abbiamo. Tutto merito di Goffredo
Palmerini,
che queste storie e genti ce le racconta e lascia che si raccontino.
In
questo mondo on-line ecco che leggiamo di giovani laureati
abruzzesi nelle Foreste di Cantanhez, in Guinea
Bissau,
impegnati sul fronte della conservazione e della protezione della
natura; vediamo giovani professori, intellettuali e giornalisti
interessati a creare un portale multimediale come i-Italy,
gestito dal Calandra Institute e dedicato al “lifestyle”
socio-culturale italiano; scopriamo Remo
Prandini,
padre salesiano missionario in Bolivia,
che lottò, a rischio della propria vita, per il diritto dei
campesinos alla terra; accompagniamo lietamente Mario
Fratti,
che continua a stupirci con le sue opere e con i graditi successi a
Broadway; ci commoviamo per il compianto Angelo
De Bartolomeis,
pioniere e visionario che con il suo mensile La
voce dell'Emigrante
e con il Premio Internazionale Emigrazione si è affermato come il
padre del colloquio fecondo e speranzoso con gli emigranti,
attraverso le loro testimonianze.
E
qui dovrei aggiungere anche le tante notizie su presentazioni di
libri, mostre d’arte, cerimonie di premi ed omaggi, aperture di
centri culturali e sportivi, per concludere con le tante
manifestazioni di amicizia che valorizzano la presenza degli
emigranti abruzzesi nel vivo tessuto delle proprie comunità.
Piccoli miracoli, raccontati come fioretti preziosi di operette
morali, che illustrano viaggi della speranza in terra straniera
diventati storie di successo, tutto nell’arco d’una generazione,
passando dall’essere malvisti e discriminati fino a stare nei
Parlamenti
e
nei Governi
delle Nazioni, in settori importanti della società e della cultura,
fino a diventare anche capitani d'industria, come avvenuto per la più
grande industria automobilistica italiana nel mondo.
Sono
modelli d’eccellenza
che trovano sbocco in personaggi trainanti che permettono lo sviluppo
economico, politico e sociale delle nostre comunità. Come un fitto
dialogo tra un contesto ricco d’orizzonti promettenti ed emergenti
ed uno a volte ripiegato sulla propria austera ma sempre elegante
indole storica, questo libro di Goffredo
Palmerini
rivela una comune ansietà contemporanea riguardo quei problemi
d’identità personale, d’identità etica e infine d’identità
nazionale che si erode in un mondo sempre più divorato dal
consumismo e dall'indifferenza.
Palmerini
aiuta l'emigrante abruzzese non a riscattare la propria dignità,
perché questa non l'ha mai persa; non a ridiventare italiani o
abruzzesi nel mondo, perché questo sentimento intimo non si è mai
affievolito. La missione di Goffredo
Palmerini
- e non a caso la definisco missione - è invece centrale e maestra.
Dando voce a chi non l'aveva, fa capire a chi non ci ha mai pensato o
a chi ha facilmente dimenticato, che esiste un fitto arazzo di
personaggi e situazioni, di comunità ed eventi che varcano i confini
di quell’Italia brava gente che è rimasta a giocare in casa.
Questo
suo giornalismo ricco
di curiosità e desiderio di conoscenza varca frontiere invisibili,
creando un mondo virtuale pulsante di chiarezza e nettezza, al di là
del solito reportage colonialistico di osservatore colto, per
diventare invece un tramite di colloqui vivaci e di reciproco
rispetto. E per questo, da It-Am, io non posso che ringraziarlo.
*Università
di Ottawa, direttore del Dipartimento di Studi Italiani